28 Mar 2024

(DIRE) Roma, 19 ott. - "La transizione ecologica è il fattore dirimente, non c'è la possibilità nemmeno di aprire un campo largo se non ci sono dentro i temi ambientali, energetici e dell'economia circolare. Non è una medaglietta o un feticcio del M5S, ma è la realtà e ce ne rendiamo conto ogni giorno quando arriva a casa la bolletta energetica. Ci sono i presupposti per poterci lavorare come abbiamo dimostrato in questo bellissimo anno e mezzo, mi auguro di non essere smentita dai fatti ma credo che non accadrà". Lo ha detto l'assessore alla Transizione ecologica della Regione Lazio, Roberta Lombardi, intervenendo alla tavola rotonda sul tema 'Transizione Ecologica: ambiente, lavoro e sviluppo per il Lazio' organizzata dalla Cgil di Roma e Lazio e da Legambiente Lazio.

Si scaldano i motori di una nuova alleanza europea, quella che avrà l’obiettivo di potenziare le tecnologie e attirare nuovi investimenti nel solare fotovoltaico. Da novembre imprese, industria, istituti di ricerca, associazioni di consumatori e altri portatori di interessi potranno richiedere di aderire. 

Che il fotovoltaico sia praticamente tutto in mano cinese non è un segreto: negli ultimi 15 anni la capacità di produzione della filiera fotovoltaica ha praticamente lasciato Europa, Giappone e Stati Uniti per spostarsi in Cina. Del resto, come sottolinea l’ultimo rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) “Solar PV Global Supply Chains”, dal 2011 a oggi Pechino ha investito la bellezza di 50 miliardi di dollari nel solare, dieci volte in più dell’Europa per intenderci. 

Cambiare le carte in tavola è l’obiettivo della Strategia UE per l’energia solare presentata a maggio nell’ambito di REPowerEU. Per farlo la strategia punta su diversi strumenti incluso l’avvio di un’alleanza ad hoc. 

 

Si chiama “Alleanza europea dell'industria solare fotovoltaica” e nasce con due obiettivi principali: moltiplicare gli investimenti nel settore e sviluppare le tecnologie di produzione di e componenti solari fotovoltaici innovativi. 

Del resto, la crescita dell’occupazione nel fotovoltaico è indubbia: nel suo EU Solar Jobs Report 2022, SolarPower Europe (la maggiore associazione europea di settore) calcola che il numero di occupati nel fotovoltaico è cresciuto di 100.000 unità tra il 2020 e il 2021. E altri 150.000 posti di lavoro sono previsti per il 2022.

L’industria solare europea ha già creato più di 357.000 posti di lavoro. Abbiamo il potenziale per raddoppiare queste cifre entro la fine del decennio.

L’alleanza europea dell'industria solare fotovoltaica metterà sostanzialmente intorno a un tavolo tutti coloro che si occupano a vario titolo di energia solare: riunirà quindi industrie, istituti di ricerca, associazioni di consumatori, ONG e altre parti interessate con un interesse nel settore e fornirà un piano d'azione per la catena del valore industriale del solare in Europa. Non solo: l’alleanza UE dell'industria solare fotovoltaica si impegnerà con Bruxelles e gli Stati membri su questioni molto ampie e complesse: ricerca e innovazione, tecnologia, filiera industriale, materie prime, accesso ai finanziamenti, partnership internazionali, resilienza della filiera globale, circolarità, sostenibilità e competenze.

L’avviso per raccogliere adesioni alla European Solar Photovoltaic Industry Alliance sarà pubblicato a novembre, mentre il varo ufficiale dell’alleanza è previsto entro fine 2022.

La Commissione collaborerà con EIT InnoEnergy per istituirla, basandosi sui successi ottenuti da Batteries Alliance o la European Clean Hydrogen Alliance.

Tra i compiti dell’alleanza ci sarà anche quello di scovare le opportunità di sostegno finanziario per il settore, che in ambito europeo possono essere rappresentate principalmente da InvestEU, dall’Innovation Fund, dai Recovery Plan e dai fondi della politica di coesione.

Il fine ultimo dell'alleanza è promuovere un'industria innovativa e creatrice di valore in Europa, che porti alla creazione di posti di lavoro e consenta di ridurre in misura sempre maggiore la dipendenza da fonti non rinnovabili e combustibili fossili in vista di dell’Agenda 2030-50.

 

Dott. Matteo La Torre

Europrogettista e Ambasciatore del Patto europeo per il Clima in Italia

L'internazionalizzazione delle imprese italiane si trova davanti ad un punto di svolta epocale, che impone alle aziende la necessità di raffinare le proprie strategie di presenza ed espansione sui mercati esteri. Da un lato, infatti, aumenta il peso del tema “sicurezza”; dall’altro emergono nuove opportunità di business che il sistema italiano è in grado di cogliere. Sono queste le due linee guida che emergono dal nuovo rapporto targato ICE-Prometia che fa il punto sull'evoluzione del commercio con l’estero alla luce dei principali sconvolgimenti in atto a livello internazionale.

Gli effetti della guerra e del caro materie prime sul commercio internazionale

Secondo il rapporto, infatti, la crescita del commercio mondiale per l’anno in corso è prevista “non superare il 2,1%, un ritmo di sviluppo tra i cinque più bassi degli ultimi vent’anni e soprattutto più che dimezzato (era il 5,6%) rispetto a quello che era il quadro previsivo di prima dell’invasione dell’Ucraina”. Tradotto in numeri, la revisione dello scenario degli scambi dovuta alla guerra è stimata in una perdita di 2 mila miliardi di euro nel corso del biennio, un downgrading di opportunità diffuso a tutti i mercati.

All’instabilità politica derivante dalla guerra - che segue due anni di pandemia e crisi economica - si sommano poi gli effetti del forte aumento dei costi delle materie prime. La pressione dal lato dei costi sacrifica infatti margini, riducendo quindi la possibilità di futuri investimenti. Una situazione che rallenterà ulteriormente la vitalità degli scambi rispetto al suo potenziale anche nel 2023, contribuendo a disegnare un quadro di previsione che rimane orientato alla prudenza.

Una situazione che, per le imprese importatrici/esportatrici, si tradurrà nella necessità di scaricare a valle almeno una parte dei maggiori costi subiti dal lato degli input, aumentando il prezzo finale dei beni esportati senza tuttavia alimentare una crescita reale. 

I nuovi elementi di analisi per operare sui mercati esteri

Alla luce del nuovo scenario internazionale, cambia anche la valutazione degli elementi prioritari che le imprese devono effettuare, nel definire le proprie strategie di internazionalizzazione. A dover cambiare ed evolvere è anzitutto la modalità di selezione dei Paesi in cui operare, che vanno considerati non più come meri mercati, bensì come “veri e propri partner strategici”. 

Rivoluzione di paradigma anche per quanto riguarda il concetto di “opportunità da internazionalizzazione” che dovrà iniziare a tenere conto non solo delle occasioni di export verso quel mercato, ma anche “dell’accesso a input strategici e convenienti sul fronte del sourcing e delle importazioni”. I forti rincari delle materie prime hanno infatti reso il canale degli approvvigionamenti cruciale, come testimoniano i blocchi produttivi che si stanno avendo in alcune filiere nelle quali sono improvvisamente diventati indisponibili input strategici come le argille, gli olii o i semilavorati del metallo, solo per citarne alcuni.

Da qui derivano tre elementi essenziali che ormai, ciascuna impresa che opera all’estero, dovrà tenere sempre in considerazione.

Il primo è rappresentato dall’importanza della gestione del pricing. Se infatti, in un mondo a bassa inflazione, le strategie di prezzo dipendono soprattutto dal posizionamento ricercato ex ante e dal confronto con i concorrenti sul medesimo mercato, nello scenario attuale il timing di adeguamento e la programmazione dei listini diventa necessario per garantire sostenibilità al ciclo produttivo e massimizzare i rendimenti dei processi di vendita.

Il secondo elemento è quello dell’importanza crescente delle competenze finanziarie delle imprese che dovranno sempre più agire in maniera sistematica anche sulla copertura dai rischi “volatilità dei prezzi”, in controtendenza con l’abitudine ancora poco diffusa tra le imprese italiane di adottare strumenti di mitigazione su questo fronte.

Il terzo elemento è l’importanza di riorganizzare il proprio commercio estero lungo filiere più corte e selettive che tengano conto non solo del fattore “costo”, ma anche di alleanze politiche e affinità culturali tra i partner. 

Quella che si va profilando all’orizzonte è dunque una nuova fase dell’internazionalizzazione dove, ai fattori meramente economici, si affiancano quelli geopolitici. Il risultato sarà quindi una nuova mappa degli scambi articolata verosimilmente per blocchi regionali e che - una volta realizzata - dovrebbe essere “più resiliente agli shock e sostenibile nel medio-lungo periodo”.

Dott. Matteo La Torre

Progettista ed Esperto in Fondi UE – Ambasciatore del Patto europeo per il clima in Italia

"Azzerare l'Iva sui generi alimentari di prima necessità come pane, pasta, latte, frutta e verdura e far scendere dal 10 al 5 per cento quella su prodotti come carne e pesce significa salvaguardare il potere di acquisto soprattutto di chi ha redditi più bassi e dunque risente in modo più evidente dei rincari del carrello della spesa.

Si tratta di una misura che aiuta in modo concreto le famiglie, soprattutto quelle meno abbienti che sono più penalizzate dagli effetti dell'inflazione. È una risposta immediata a tanti italiani in difficoltà, che riteniamo più efficace della riconferma del bonus di 200 euro. Siamo convinti che sia un provvedimento necessario, non solo per i consumatori ma anche per le imprese, e che con un consenso trasversale delle forze politiche possa essere inserito nel nuovo decreto aiuti.
La lotta alle disuguaglianze e il supporto agli ultimi vanno affrontate, ora più che mai, con concretezza e velocità affinché nessuno venga lasciato indietro".

Così in una nota congiunta il sottosegretario all'Economia, Federico Freni, e il sottosegretario alle Politiche agricole alimentari e forestali, Gian Marco Centinaio.
(RoPag)

Oggi a Istanbul la prima intesa Mosca-Kiev dall'inizio della guerra
Il prezzo del grano in calo con la svolta che ha portato all'intesa tra Ucraina e Russia, che firmeranno un accordo oggi a Instanbul.
 
 Le quotazioni del grano duro scendono dell'1,39% a 849,25 dollari per contratto da 5mila staia. 
Il grano tenero cede l'1,61% a 793,25 dollari. 
 
Quello di Istanbul dovrebbe essere il primo vero accordo sui corridoi nel Mar Nero per l'esportazione di cereali dai porti dell'Ucraina. E soprattutto la prima intesa tra Mosca e Kiev dall'inizio della guerra il 24 febbraio. Non a caso sarà presente anche il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres. Ad annunciarlo è stato l'ufficio del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, grande mediatore dell'intesa, che verrà sottoscritta dalle delegazioni russa e ucraina nel sontuoso Palazzo Dolmabahce, sullo Stretto del Bosforo. 
Che l'intesa fosse nell'aria si era capito sin dall'incontro di tre giorni fa a Teheran tra Erdogan e il presidente russo Vladimir Putin, che aveva parlato di "progressi sull'esportazione di grano ucraino", cosa che aveva definito "un buon segno". Tuttavia, lo stesso Putin aveva sottolineato che qualsiasi accordo doveva comprendere anche le esportazioni bloccate di grano russo. Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu aveva dal canto suo affermato che "quando risolveremo questo problema, non solo verrà aperto il percorso di esportazione per il grano e l'olio di girasole dall'Ucraina, ma anche per i prodotti dalla Russia". 
 
Di qui la svolta e l'annuncio. "L'accordo sull'esportazione di grano, di fondamentale importanza per la sicurezza alimentare globale, sarà firmato a Istanbul sotto gli auspici del presidente Erdogan e del segretario generale dell'Onu Guterres insieme alle delegazioni ucraina e russa", ha affermato il portavoce del leader turco Ibrahim Kalin. 
Un membro della delegazione di Kiev per i negoziati, Rustem Umerov, ha fatto sapere che le spedizioni potrebbero riprendere da tre porti sotto il pieno controllo ucraino, ovvero Odessa, Pivdennyi e Chornomorsk. Secondo le stime, circa 25 milioni di tonnellate di grano e altri cereali sono bloccate nei porti ucraini. Un blocco che ha provocato una crisi alimentare mondiale. (di Alberto Zanconato - ANSA)
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