19 Apr 2024

Continua la crescita della classe dirigente di Acli Terra Calabria. Per il Presidente regionale Pino Campisi si avverte anche qui la responsabilità di seguire i nuovi indirizzi e le scelte della Presidenza nazionale, presente su molteplici fronti delle numerose problematiche agricole e delle marinerie. Dopo la conclusione del mandato del Presidente Pierino Fallico, il quale lascia sul vasto territorio della provincia di Cosenza una impronta più che positiva , arriva il turno e la guida della neoletta Santina Bruno, avvocato, già impegnata nel sistema Acli provinciale. Aumentano le sue responsabilità poiché la provincia di Cosenza per Acli Terra è straordinariamente importante, perché presenta un' agricoltura forte e di qualità, a partire dalla Piana di Sibari ( eccellenti pescheti, agrumeti e uliveti, ) e poi distretti di alta qualità come quello del cedro e grandi polmoni verdi come la Sila e il Parco del Pollino che danno alla Calabria un valore altissimo rispetto alla tutela ambientale e al turismo montano di un certo peso e qualità. Sotto tutti questi profili , sostiene il Presidente Campisi, viene chiesta una forte corresponsabilità aclista ed una strategia comune per meglio sostenere i produttori, le produzioni e l'ambiente. A partire poi dal rilancio dei Distretti del Cibo, che vanno sostenuti in quanto strumenti operativi sui singoli territori. Proprio sui distretti Acli Terra ha avuto l'intuizione, continua Campisi, di essere impegnata in prima fila, come lo è in questi giorni sull'approvazione di una legge sull'agricoltura sociale. Per tutto questo oltre agli auguri di un buon lavoro alla neo Presidente provinciale Bruno viene chiesto un impegno comune e condiviso con gli altri presidenti Acli Terra delle altre province. Ad ottobre avremo a Lamezia Terme la partecipazione del nostro presidente nazionale Nicola Tavoletta per la conferenza regionale sul rilancio dell'olivicoltura, una mobilitazione per dare valore al prodotto attraverso la commercializzazione possibilmente nei Paesi europei. Altrettanto impegno sarà dedicato al comparto della cereagricoltura attraverso i micro-distretti del grano e dei mulini . In buona sostanza Acli Terra, ribadisce Campisi, sta nell'agricoltura con una funzione sociale prima ancora che economica.

Ad ACLI TERRA della provincia di Cosenza e alla nuova Presidenza è giunto il messaggio di buon lavoro da parte della Presidenza Nazionale con le migliori congratulazioni.

Carla Felicia

La comunità delle ACLI Provinciali di Latina si stringe nella preghiera insieme alla famiglia Tufano per la perdita di Domenico. Nato in provincia di Avellino a Forino è dagli anni '60 a Latina dove ha preso servizio nell' aeronautica militare con il grado di maresciallo. Nel 1978 ha fondato l'Unione Sportiva ACLI in provincia di Latina insieme ad un gruppo di colleghi guidati da Don Raimondo Salvaggio. È stato dirigente provinciale, regionale e nazionale della stessa organizzazione, rivestendo ruoli anche in Presidenza Nazionale. Impegnato nell'associazione fino all'ultimo. Nelle ACLI Provinciali di Latina è stato un riferimento unico, da decenni in Consiglio provinciale, ha ricoperto la carica di Vice Presidente accanto a Maurizio Scarsella.
Lascia i figli Francesco ed Annamaria, ora lei dirigente nazionale dell'Unione Sportiva ACLI.
A Domenico si attribuiscono grandi eventi sportivi celebrati a Latina, tra i quali due edizioni della Festa nazionale della Pace negli anni '80 e lo Sporting Tour nazionale nel 2013.

ACLI TERRA ha appreso la proposta dei Sottosegretari Federico Freni e Gian Marco Centinaio di azzerare l'Iva sui generi alimentari di prima necessità e di scendere dal 10% al 5% per gli altri, come carne e pesce, e la sostiene.
<<Bene, è un impegno sicuramente utile per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie - afferma il Presidente Nazionale Nicola Tavoletta - ma chiediamo che sia assolutamente monitorato l'effettivo calo dei prezzi in maniera capillare e che non vengano danneggiati i produttori in regime speciale forfettario>>.

Le ACLI Provinciali di Latina hanno accolto la nota della Diocesi, che racconta come le stesse ACLI nel 1952 avessero richiesto con una sottoscrizione popolare di attribuire a Santa Maria Goretti il Patronato dell'Agro Pontino e del suo Capoluogo, con gioia ed emozione.
Ringraziano sentitamente il Vescovo Mons Mariano Crociata per averle citate in una profonda Omelia questo pomeriggio, che non solo richiama quella storia, ma che apre una riflessione seria sulla nostra attuale comunità.
Per il Presidente Provinciale Alessandra Bonifazi <<esordisco da Presidente provinciale con una immensa gratitude verso quella straordinaria epopea aclista che torna a distanza di 70 anni grazie alla attenzione del nostro Vescovo, che ringraziamo sentitamente. Lo ringraziamo ancora per le sue parole attente sulla questione civile e politica della nostra comunità veramente confusa. Crediamo che il suo appello alla maturità e alla responsabilità sia un riferimento per evitare di dare sponda al narcisismo di donne e uomini che usano la politica. Dobbiamo riflettere, partecipare e sapere scegliere con profondo discernimento ed educazione civica. Le ACLI proveranno a lavorare in questo senso>>.

Siamo nel pieno di una calda estate. Ma questa volta non ci sembra una occasione di pause rilassanti ma piuttosto si prospetta carica d’ansia e di incertezze, ancor più dopo gli esiti Parlamentari che ci porterà a nuove elezioni nelle prossime settimane. 
 
Non mancavano certo già grosse difficoltà per il sistema economico e produttivo del nostro Paese per la pandemia, la guerra in Ucraina, le crisi energetiche e climatiche da affrontare.
 
I tempi frenetici e le dinamiche repentine del mondo moderno non si conciliano con i ritmi scanditi dai cicli stagionali dell’agricoltura ed in particolare dell’agricoltura delle aree interne che sembra viaggiare con ritmi inversamente proporzionali a quelli delle attività economiche degli altri settori.
 
Osservando poi gli scenari aperti dalle crisi dei tempi recenti non possiamo non notare quanto la progressiva marginalizzazione delle attività agricole delle aree interne coincida con l’altrettanto progressiva tendenza dei mercati ad approvvigionarsi di  quantitativi di massa e da produzioni intensive e magari estere. E solo a seguito di eventi eccezionali come il conflitto in Ucraina, ci accorgiamo che forse favorire gli scambi internazionali per ragioni squisitamente economiche ed a scapito delle produzioni locali, ci ha rende dipendenti e non autosufficienti anche per le materie prime alimentari.
 
D’altro canto, i recenti dati statistici diffusi da Istat ci dicono che in Italia le aziende agricole sono diminuite a 1.133.023 con un calo del 30% nell’ultimo decennio. La Campania detiene il primato nazionale con un calo a dir poco allarmante che si è attestato al 42%. Il dettaglio del dato potrà sicuramente confermare che tale calo riguarda principalmente le aree interne ed in particolare le aree svantaggiate. L’altro dato allarmante riguarda il progressivo invecchiamento della popolazione agricola che oggi registra circa il 60% degli operatori oltre i 60 anni di età e solo il 6% al di sotto dei 30.  Anche il numero degli addetti in agricoltura registra un calo importante: -27,3% con 2,8 mln di addetti. 
 
E’ paradossale assistere a questo silenzioso e drammatico fenomeno in questo momento storico che vede al centro dell’attenzione pubblica l’interesse per la tipicità delle produzioni locali,  il valore paesaggistico del territorio, la qualità di vita più a misura d’uomo nei piccoli centri rurali. Come pure stride con la realtà produttiva che vede ridotto drasticamente il numero delle aziende attive a fronte della crescente e già ricca varietà e quantità di prodotti tipici riconosciuti PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) strettamente connessi quindi con l’agricoltura, la pesca e l’allevamento locali.  La riprova è sempre la Regione Campania che detiene il primato nazionale del numero di prodotti riconosciuti PAT (ben 580) e al contempo, registra il maggior calo di aziende (-42%).
 
Detto questo è evidente dai numeri che NON sono stati efficaci gli interventi messi in campo fino ad oggi dalla politica e dalle istituzioni: 
- Perché non hanno funzionato gli incentivi per favorire il ricambio generazionale nella conduzione aziendale?
- Sono state insufficienti le risorse messe in campo per accompagnare l’ammodernamento tecnologico delle aziende?
Probabilmente entrambi, ma a questo punto è chiaro che manca una direzione di marcia! 
 
Il Bel Paese - noto ed invidiato in tutto il mondo per il suo straordinario patrimonio gastronomico, patria della Dieta Mediterranea iscritta il 16 Novembre 2010 dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità, su proposta di Italia, Spagna, Grecia, Marocco, definita “un insieme di competenze, conoscenze, riti, simboli e tradizioni, che vanno dal paesaggio alla tavola” e dichiarando che …è molto più che un semplice elenco di alimenti. Essa promuove l'interazione sociale, poiché il pasto in comune è alla base dei costumi sociali e delle festività condivise da una data comunità, e ha dato luogo a un notevole corpus di conoscenze, canzoni, massime, racconti e leggende. La Dieta si fonda nel rispetto per il territorio e la biodiversità, e garantisce la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all'agricoltura nelle comunità del Mediterraneo" - perché non è stato capace di riconoscere questo suo patrimonio come valore da preservare e da valorizzare? 
 
Come ha potuto proprio l’Italia consentirsi di perdere il 30% di questo suo patrimonio produttivo (quasi 400.000 aziende) e il 27% degli addetti (oltre 750.000 lavoratori) a dieci anni dal riconoscimento della Dieta Mediterranea a Patrimonio Immateriale dell'Umanità? 
 
E ci si chiede: con quali prospettive operano oggi le attività agricole, dell’allevamento e della Pesca nel nostro Paese? 
 
Siamo proprio certi che le aree interne siano da destinare a rimanere economie marginali?  Ed è proprio trascurabile l’effetto irreversibile dell’abbandono dei territori e dello spopolamento dei piccoli comuni? 
 
Se proprio fosse così, quali sono gli effetti positivi che ci consegna questa sfrenata globalizzazione della filiera del cibo? al momento 400.000 aziende chiuse e 750.000 posti di lavoro persi! 
Ah, Potrebbe andare peggio nel prossimo decennio.
 
Forse è proprio il caso di cambiare direzione di marcia! 
RIPARTIRE DALLE AREE INTERNE
 
ACLI TERRA DELLA CAMPANIA